Poker face

Seduti al tavolo, in silenzio, in mezzo agli altri, c’erano due giocatori di poker, con le loro carte in mano. La posta era alta, gli altri quattro giocatori avevano già abbandonato la mano non potendo coprire i continui rilanci in apertura.

Il primo giocatore, un po’ più giovane, un po’ più inesperto, non era così bravo a nascondere i propri pensieri, ma, a suo vantaggio, questa volta c’erano le carte: dopo il cambio, in mano aveva una scala reale. Non la più alta possibile, ma poco ci mancava. L’altro giocatore, di poco più anziano, aveva tanta esperienza e capacità di nascondere le emozioni.

Toccava al giovane puntare per primo. Era praticamente certo che avrebbe vinto, perché la probabilità di due scale reali nella stessa mano è talmente bassa da potersi considerare trascurabile, ma non voleva farlo capire al suo avversario. Se avesse puntato subito una grossa cifra, avrebbe rischiato di suggerire il punteggio che teneva fra le dita. Se ne avesse puntata una piccola, rispetto al giro di rilanci in apertura, non sarebbe risultato credibile ed il suo avversario avrebbe potuto passare la mano fiutando l’inganno. Certo, in entrambi i casi sarebbe stata una vittoria, ma lui, il giovane, non voleva solo vincere, voleva far del male serio, in senso figurato ovviamente, a quella persona che aveva davanti e che lo fissava con sufficienza. Voleva proprio spennarlo, umiliarlo, ridurlo ad un povero ebete mezzo ubriaco, che brancola, in un vicolo buio, in cerca di una ragione di vita. Questa mano sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe osato tenere quello sguardo saccente e poco rispettoso.

Decise quindi di far leva sulla propria inesperienza, di lasciar trapelare qualche emozione in più di quelle che veramente sentiva. Iniziò a guardare nervosamente le carte e le sue fish, quasi a voler stimare il valore delle une e delle altre. Lo faceva in modo subdolo, non troppo evidente, anzi, quasi impercettibile, ma quel tanto che bastava per far credere che stesse bluffando e che non riuscisse a nasconderlo. Evitava lo sguardo del suo avversario, ma ciò gli faceva piacere a priori. Dopo qualche secondo, senza metterci troppa sicurezza, sollevò un gruzzolo dalla sua cassa e lo appoggiò delicatamente al centro del tavolo, con rispetto ed attenzione, quasi a volergli dare l’estremo saluto. Proferì poche parole, solo la cifra della puntata. Una puntata media, non esagerata ma rispettabile. Una cifra che significava:«Ho qualcosa in mano, ma non abbastanza per rischiare la casa».  Mentre stava ancora ritraendo la mano, il suo avversario interruppe l’azione con una frase sprezzante: «Ragazzo, sei al tavolo sbagliato, dovevi ascoltare il mio consiglio. Copro la tua puntata e la raddoppio».

La sua messa in scena stava funzionando: Roger era convinto che lo avrebbe facilmente battuto. Era il momento di chiedere pietà. Daniel, ora impassibile, pareggiò il raddoppio ed aggiunse solo pochi spiccioli, come per centellinare le fish che ancora aveva, che non erano poche, ma che potevano servire tutte per coprire un bluff in realtà inesistente.

To be continued…

 


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